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viaggio del papa nelle provincie 267

tue, «incensieri di profumi» (specialità, pare, tutta ferrarese), luminarie e concerti, il comune e la provincia spesero circa 180,000 lire, della quale enorme spesa lo stesso Pontefice rimase «sorpreso e commosso», secondo lo stesso cronista. Visitò monasteri, chiese e istituti pii, benedisse le truppe indigene ed austriache, ed abitò nel palazzo arcivescovile. Doveva la sera benedire la popolazione, raddoppiata dai forestieri venuti d’oltre Po, ed affollantesi sulle due piazze sfarzosamente illuminate. Ma apparso che fu sulla loggia del palazzo, una violenta scossa di terremoto sbandò la moltitudine impaurita, e la benedizione non ebbe luogo. Ripartì l’indomani per Bologna, soddisfatto delle accoglienze ferraresi, al successo delle quali aveva in gran parte contribuito il tanto invocato allontanamento del delegato Folicaldi, sostituito da un prelato men fanatico, monsignor Gramiccia, che aveva iniziato il suo governo, dando mondanamente balli e conviti, e che doveva essere l’ultimo delegato apostolico di quella provincia.


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La tappa più difficile, per il caldo e le preoccupazioni politiche, era sempre Ravenna. Sino all’ultimo si fecero sforzi per dissuadere il Papa dall’andarvi; ma, da un lato, un senso di spavalderia, e anche di coraggio; dall’altro, le insistenze e le assicurazioni dell’arcivescovo, cardinal Falconieri, e del delegato monsignor Achille Ricci, vinsero ogni esitazione. A Ravenna si svolgeva in quei giorni, fra misteri, paure ed intrighi, il processo per l’assassinio del conte Lovatelli, ch’era stato, com’è noto, uno dei cospiratori più affascinanti e più bizzarri della sua regione, prima del 1848, e la cui morte, opera proditoria di setta, aveva avuta un’eco dolorosa anche a Roma, dove il Lovatelli contava larga parentela nell’aristocrazia, avendo in moglie una Chigi. Pio IX aveva più volte manifestato il desiderio, che il processo fosse stato sollecitamente compiuto, ma quel suo desiderio, forse platonico, rimase purtroppo inappagato, perchè tra i lunghi viavai, fra Ravenna e Bologna, non se ne venne mai a capo, e gli arrestati furono dovuti restituire in libertà, due anni dopo, quando mutò la fortuna politica in Romagna. Nessuno fra gli amici ed i compagni di cospirazione del Lova-