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viaggio del papa nelle provincie 255

si ammira oggi nelle scuderie pontificie, ed è argomento di curiose osservazioni. Dirigeva il corteo il principe Massimo, direttore delle poste, e nelle carrozze, che seguivano quella del Papa, salirono monsignor Berardi, sostituto alla segreteria di Stato, col minutante Sabatucci;il dottor Carpi, medico ordinario di Sua Santità; il maestro di casa, Zangolini; monsignor Hohenlohe, elemosiniere; monsignor Cenni, primo chierico di camera, ed un largo stuolo di cappellani e di guardie nobili, sì da parere una processione. Il generale Goyon, a cavallo, accompagnò il Pontefice oltre porta Angelica. Nessun ministro segui il sovrano, per isvogliare così i sudditi da indiscrete domande. I romani guardarono con indifferenza l’allontanamento del Papa; e poichè rimaneva l’Antonelli insieme al fratello Filippo, direttore della banca romana, Pasquino salutò la partenza di Pio IX con questo motto: Santità, parti, e ci lasci Filippo e Giacomo! È da ricordare, che i santi Filippo e Giacomo sono insieme congiunti nel calendario.

La sera dello stesso giorno l’augusto viaggiatore fu a Civita Castellana; il cinque a Terni, dove si fermò non più di due ore, impaziente com’era diarrivare a Spoleto, che non vedeva dal 1832, quando, da arcivescovo di quella diocesi, fu mandato ad Imola. Molto festeggiato, passò ivi la notte, ed il sette ripartì per Foligno, donde mosse per Assisi. Il primo solenne ingresso ebbe luogo a Perugia, il giorno otto. Una notificazione del cardinal Pecci, vescovo della città, in data 30 aprile, annunziava che «la Santità di N. S. Papa Pio IX ha determinato di muovere sui primi dell’imminente maggio dalla capitale per recarsi a venerare la santa Casa di Loreto, e deviando appositamente dal diretto stradale, si degnerà di onorare questa nostra città di sua augusta presenza». Delle accoglienze ricevute a Perugia, e del soggiorno fattovi fino al dieci, l’Osservatore del Trasimeno diede una iperbolica relazione. Il capitano del genio Forti, uomo di gusto artistico, e papalino fanatico, ideò archi, loggiati, addobbi e luminarie; trasformò la fortezza in esedra, collocandovi nel mezzo una statua in gesso del Papa; e monsignor Bellà, delegato pontificio, che voleva farsi onore, forniva il denaro necessario, raccolto dai municipi e dagli altri enti morali. Credettero i liberali di non provocare alcuna protesta, ma fecero ogni