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254 capitolo xiv.

rono gli austriaci. E perciò opportunamente, dal suo punto di vista, il cardinal Antonelli aveva vietato le riunioni straordinarie dei Consigli municipali, e fatto intendere ai gonfalonieri ed alle magistrature, che le richieste da rivolgere al Pontefice sarebbero state tanto più gradite e concludenti, quanto più discrete e limitate ai bisogni locali. Nulla si voleva, che avesse l’aria di riforme amministrative, e assai meno legislative; nulla, che rammentasse le promesse, non mantenute, del motuproprio di Portici, nè quelle di Luigi Napoleone nella lettera al colonnello Ney; nulla insomma che riguardasse la politica. Obbiettivo del viaggio non era quello di affaticarsi, per scoprire i bisogni delle popolazioni, ma di percorrere rapidamente le città del piano, ripulite e messe a festa per la circostanza, in comode vetture, e a brevi tappe, fra squadre di soldati e di ecclesiastici, fra turbe di contadini, credenti e plaudenti, visitando monasteri, chiese e luoghi pii, e provocando dimostrazioni che esaltavano Pio IX, e ch’egli credeva bastassero a smentire quanto si era asserito contro il suo governo. Nelle condizioni dello spirito pubblico in Romagna, un qualche miglioramento si era verificato, ma non sì però, che il conte Giuseppe Pasolini, spirito temperato, quasi mistico, in una lettera scritta un anno dopo, nel 1858, al suo amico Ghezzo, non uscisse in queste gravi parole: «... e fatiche e noie, e assassinii in città (Ravenna) e ladri in campagna, e sempre in mezzo alla gente dappoco o cattiva, che per la strettezza del luogo, prende forza e considerazione... Veggo purtroppo ingigantire tutti i mali dei nostri paesi, dove anche i buoni tendono al male».


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Il Papa partì alle 7 antimeridiane del 4 maggio 1857, uscendo da San Pietro, dove aveva sentito la messa, e baciato il piede alla statua del principe degli Apostoli. I cardinali palatini Antonelli, Spinola, Macchi e Falconieri, i ministri e il Capitolo vaticano l’accompagnarono sino al monumentale carrozzone, nel quale montò con monsignor Borromeo, maggiordomo, e monsignor Pacca, maestro di camera. Quel carrozzone, che aveva tutte le comodità del tempo, ed era tirato da sei cavalli,