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248 | capitolo xiii. |
il protocollo non riproduce tutta la discussione, la quale, ripeto, fu lunga e vivacissima; i rappresentanti dell’Austria e della Russia dichiararono che l’argomento esorbitava dal programma del Congresso, e che non avevano istruzioni per occuparsene; ci fu un momento, in cui parve che il conte Buol volesse abbandonare la sala delle sedute, e occorse l’autorità del Walewski per impedirlo, e per formulare nel protocollo i due voti per la quistione italiana, con le parole meno compromettenti:
1° Que les Plénipotentiaires de l’Autriche se sont associés au vœu exprimé par les Plénipotentiaires de la France de voir les États-Pontificaux évacués par les troupes Françaises et Autrichiennes, aussitôt que faire se pourra sans inconvénient pour la tranquillité du pays, et pour la consolidation de l’autorité du Saint-Siège;
2° Que la plupart des Plénipotentiaires n’ont pas contesté l’efficacité qu’auraient des mesures de clémence, prises d’une manière opportune par les Gouvernements de la Péninsule Italienne, et surtout par celui de Deux-Siciles.
Se dunque i due voti furono così anodinamente formulati, per farli approvare dai plenipotenziari tutti, è da ricordare che l’Austria era una grande potenza, e aveva in piedi un potente esercito, capace di darle ragione, in una eventualità di guerra; e che l’Italia, sminuzzata nelle vecchie signorie, non esisteva politicamente. Bisogna mettersi da questo punto di vista, per misurare quale immenso servizio alla causa della indipendenza, e della libertà italiana rendesse il conte di Cavour nel Congresso di Parigi, benchè egli se ne aspettasse qualche cosa di più, almeno il riconoscimento dei diritti del Piemonte sopra Piacenza; e, appena dopo il Congresso, dichiarasse a Clarendon di prepararsi ad una guerra «a coltello» con l’Austria, sperando aver con sè Francia e Inghilterra. Se egli non ottenne di più, si deve anche attribuire a circostanze strane, e non ultima, questa, che l’imperatrice Eugenia, essendo alla vigilia di partorire, voleva il Papa a Parigi per padrino del nascituro principe, ed era perciò necessario non disgustare Pio IX. Ma questi non perdonò mai a Napoleone III quanto era avvenuto, ed anzichè andare personalmente, mandò a Parigi il cardinale Patrizi, a tenere al fonte battesimale il principe imperiale.