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diplomazia e congresso di parigi 231

La Svezia e Norvegia avevano un semplice console, e la legazione dei Paesi Bassi era formata dal ministro, conte De Lie de Kerke-Beauffort, e da un addetto onorario e cancelliere, nella persona di un certo cavalier Magrini, il quale indossava costantemente una marsina bleu con bottoni dorati, e portava una farfalla all’occhiello dell’abito, insegna di un ordine cavalleresco, che nessuno seppe mai qual fosse. Gli Stati Uniti d’America seguitarono ad esser rappresentati dal signor Lewis Cass, un misantropo, chiuso nel suo appartamento all’albergo Meloni. I romani lo tenevano in conto di un selvaggio, ma il Cass era un brav’uomo, pieno di carità, e nelle offerte per beneficenza la sua era sempre la maggiore. Gli successe lo Stockton, poi il Rufus-King. E infine il giovane conte Esterhazy, elegantissimo nel suo costume ungherese, rappresentò interinalmente l’Austria, ma, non essendo ammogliato, tenne chiusi i saloni del palazzo di Venezia. Gli successero via via il Colloredo, il barone de Bach e l’Hübner, che riaprirono quei saloni, gareggianti con quelli del palazzo Colonna.

L’Inghilterra non aveva un ministro, ma un attaché distaccato dalla legazione di Firenze. In quei primi anni ministro d’Inghilterra a Firenze fu il marchese di Normamby, e attaché a Roma lord Lions, cui successe, come incaricato d’affari, Odo Russell, del quale si parlerà di proposito.

Più che difficile, sarebbe inutile tener conto dei vari mutamenti nel personale del corpo diplomatico. In quei primi anni Roma fu la lanterna magica della diplomazia europea. Le sole rappresentanze, che non mutarono, anzi finirono coi propri Stati, furono quelle di Toscana e di Modena. Il Bargagli era il decano del corpo diplomatico a Roma, poichè vi stava da prima del 1848, e aveva raggiunto Pio IX a Gaeta; e perciò egli aveva le più larghe conoscenze nel mondo romano; e la maggiore fiducia di Pio IX e dell’Antonelli. Abitava il palazzo di Firenze, e vi dava frequenti feste, benchè si dicesse che, dopo la mezzanotte, non ci fosse più una bottiglia di Champagne, o di Bordeaux, e neppure di Chianti. Era un tipo pieno di amabilità, nè mancava di arguzia. Luigi Simonetti rappresentava il duca di Modena, e il ducato di Parma non aveva rappresentante.