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218 | capitolo xii. |
artista era guerriero o donna, secondo il caso, o l’inclinazione. L’ultima festa di Cervara si compì nel 1873, ma riuscì fredda. La Roma di Cervara è finita anch’essa, come quella dei «barberi» e dei «moccoletti».
Il 25 aprile del 1857 si compì nel monastero di Sant’Onofrio una cara festa. Vi si inaugurò, in occasione del terzo anniversario secolare della morte del Tasso, il monumento innalzato da Pio IX al cantore della Gerusalemme. Dal modesto loculo le ceneri furono trasportate nell’arca, dove s’erge la statua modellata dal Fabris, e molto criticata, perchè davvero il Tasso è in attitudine teatrale. Ma la festa riuscì commovente. Salirono in quel giorno l’erta di Sant’Onofrio monsignor Milesi, ministro dei lavori pubblici, il principe Orsini, senatore di Roma, i dignitari del vicariato, per la esumazione delle ossa, che furono descritte e registrate con rogito speciale, e poi chiuse in altra urna, insieme ad una pergamena, sottoscritta dai presenti. Vi andarono pure i cardinali D’Andrea, Altieri, Gaude, e parecchi diplomatici. Il marchese Gian Pietro Campana, presidente dell’accademia di archeologia, portava dodici commende.
L’accademia dei Quiriti tenne una straordinaria adunanza nell’anfiteatro, dove sorge la vetusta quercia. Il professor Domenico Bonanni pronunziò il discorso inaugurale; il duca Giovanni Torlonia recitò un componimento molto applaudito; Domenico Gnoli, giovanissimo, e sua sorella Teresa declamarono belle poesie d’occasione, ma chi mandò in visibilio l’uditorio fu Giannina Milli, affermatasi in quell’occasione felicissima poetessa estemporanea. Non poteva dirsi bella; aveva trent’anni, copiosa e nera capigliatura, occhi neri penetranti, e un pallore sul volto, che le aggiungeva una gran simpatia. Il galante cardinal Gaude andò ad esternarle i sensi della sua ammirazione, mentre il cardinale Altieri brontolava curiose maldicenze, che provocavano l’ilarità dei vicini. Il cardinale Gaude era complimentoso, sino all’inverosimile, con le signore; e proprio in quei giorni si narrava come egli, ad una giovane e bella principessa romana, che era nell’ultimo mese di gravidanza, facendo gli augurii che questa si compisse felicemente, si permettesse quasi di lambire con la mano il seno di lei, dicendo, con un sorriso untuoso: «e tante felicità anche a questo birichino».