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206 | capitolo xi. |
adunava altresì il fratello monsignore, minutante in segreteria di Stato. Parve destino che il Gerardi, il Manzi e il Gentilucci, a gran distanza morale il primo dagli altri due, e in posizione assai diversa, morissero tutti e tre poveri, ed invece tanti altri, malamente arricchitisi a Roma, in Francia e in Ispagna, fecero, senz’arrossire, largo sfoggio delle loro ricchezze.
Le vicende della società generale delle ferrovie romane sono larga parte della storia delle strade ferrate italiane, non ancora scritta. Con la convenzione del 22 giugno 1864, approvata con la legge 25 giugno 1865, vennero fuse in quella società altre linee, e fra esse le Livornesi, e la Centrale toscana, come si è detto. Il governo italiano l’aiutò come potè, ed essa fece quanto era possibile per raccogliere il capitale necessario a soddisfare i vecchi, e i nuovi impegni. Cedette alle Meridionali l’importante linea Bologna-Ancona, mercè un corrispettivo di tre milioni all’anno; emise obbligazioni al 3 %, che non trovarono fortuna; e in ultimo dovette stipulare una seconda convenzione, con la quale cedette allo Stato, per trentacinque milioni di lire, una parte delle sue linee. Con una terza convenzione del 17 novembre 1873, stipulata dal ministro Silvio Spaventa, lo Stato riscattò l’intera linea; e la legge del 27 gennaio 1878 fu la pietra sepolcrale di quella società, di cui non credo di aver fatto opera inutile, condensando la storia in queste pagine.