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202 | capitolo xi. |
decise di emettere la prima serie delle sue obbligazioni per le spese dei lavori, ma il governo imperiale, fiutata l’insidia, emanò, in data 22 maggio 1858, un decreto in cui era prescritto, che le società formate per la costruzione di ferrovie straniere non potevano emettere obbligazioni in Francia, se non quando il capitale azioni sì trovasse interamente liberato. Questo decreto cambiava ad un tratto la base finanziaria della società, e le troncava la via ad ulteriori operazioni.
Furono molte le pratiche per ottenere la revoca di quel decreto, e non essendovisi riuscito, sì tentò di gabellarlo come un caso di «forza maggiore per decreto di principe». La società concessionaria e la casa Mirés, per scongiurare il pericolo di una catastrofe, si avvisarono di ridurre le azioni della metà, senza però che tale riduzione dovesse costituire una diminuzione di capitale. Oltre a ciò, la società accordava agli azionisti, per la diminuzione del prezzo del ferro, un premio di lire cento per azione, per effetto di che, queste rimanevano liberate per intero. Pareva un giuoco di bussolotti. I Mirés si obbligarono di riprendere le azioni integralmente, per emetterle a suo tempo, e di far versamenti per gli azionisti, che non fossero in grado di farli, sempre al fine di far rimanere intatto il capitale di 175 milioni. Tutti questi tendenziosi ripieghi, benchè sanati da una deliberazione dell’assemblea, in data 25 agosto 1858, generarono una serie di liti innanzi ai tribunali, le quali furono argomento di dotte allegazioni degli avvocati Patrizi e Des Jardins. Si litigò sino al 1859. La società ebbe ragione dei suoi due azionisti ribelli, i quali possedevano solo nove azioni sopra 170 mila, e avevano tutta l’aria di essere dei prestanomi alla ricerca di uno chantage, ma ahimè, il suo credito ne fu scosso a segno, che a Parigi come a Roma si diffuse il sospetto che la casa Mirés non potesse far fronte ai suoi impegni, senza detrimento della cassa generale delle ferrovie, sulla quale vegliava rigorosamente il governo imperiale. La scandalosa prelevazione di tanti milioni per premi e simonie, resa pubblica dalle allegazioni degli avvocati, e una sentenza contraria del tribunale della Senna, crebbero alimento a quei sospetti. Si aggiunga la condizione politica, che veniva mutando e in parte era mutata per effetto della guerra in Italia e della rivoluzione nello Stato pontificio.