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cospirazioni e cospiratori - il processo del 1853 | 165 |
con Annibale Lucatelli, e fu accusato da un impunitario, di essere caposquadra o caposezione temuto. Il processo fu costruito sopra denuncie ispirate non soltanto dalla viltà, ma dalla vendetta; e tra i fusi o fusionisti, sopra accusa di puri o puritani, vennero arrestati e condannati il Gigli, il Croce, il Lorenzini, il Lipari, il Piccioni e il Mazzoni, i quali non parteciparono punto a quel movimento, anzi lo condannarono come dannoso alla causa liberale.
Nè gl’impunitari colpirono soltanto i fusi, ma travolsero nell’ondata delle loro accuse anche i puri, non escluso il Petroni, che fu tradito da coloro, che gli avevano data ospitalità, e singolarmente dai coniugi Lepri, e da un prete ultrarivoluzionario, certo Stramucci, abbietto affittacamere, e amante di una Giovanna Savaresi Aringa. Secondo le loro accuse, il Petroni aveva assunto il falso nome di «Marco», e la dignità di canonico, spacciandosi col nome di «canonico Marco». Degl’impunitari, quelli che gli atti rivelarono animati da maggiore perfidia, furono il Casciani, il Preti, e più di tutti il Catenacci, uno degli otto sbarcati a Palo, farmacista di professione. Il Bertoni di Faenza si suicidò a San Michele, prima della condanna, non potendo resistere ai patimenti del carcere; il Catenacci morì appena rimesso in libertà, nè di quella morte si seppe mai la vera causa; il Casciani finì nel Belgio, si disse, assassinato, e Alessandro Castellani, denunziato oltrechè dal Casciani, da Caterina Barracchini e dal Preti come uno dei «mazziniani puri, e degli esattori delle contribuzioni settarie», per sottrarsi alla temuta condanna di morte, si finse pazzo, tanto che nel processo si legge: «non fu proceduto ulteriormente in causa dell’inquisito, perchè in seguito delle prime contestazioni, cadde infermo per mentale malattia, nè fin qui se n’è ottenuta la guarigione». Il Castellani era stato precedentemente condannato a ventiquattro giorni di detenzione per ingiurie rivolte ai soldati francesi, il giorno del loro ingresso in Roma, e fu arrestato con lui in quell’occasione suo fratello Augusto, che stette due settimane in Castel Sant’Angelo. Alessandro, che aveva trent’anni, era uno spirito esaltato, nè Pio IX volle di lui sapere, nonostante le calde suppliche del suo congiunto Camillo Alessandroni, minutante in segreteria di Stato, e nonostante la grave sciagura,