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cospirazioni e cospiratori - il processo del 1853 159

d’eguaglianza, e col simbolismo delle forme. Non era quindi difficile aver proseliti alla cospirazione liberale, che trovava nuovo alimento negli eccessi politici, nelle crudezze fiscali, nelle ingiustizie governative, e nel disagio economico del popolo. E se a questo lievito si aggiunge l’impazienza di coloro, che avevano combattuto nel Veneto e a Roma, ed ai quali tardava di poter riprendere le armi per la liberazione della patria, non parrà strano che l’Associazione Nazionale avesse adunato gran numero di affiliati dal primo giorno. Essa non richiedeva disciplina passiva, nè si circondava di simulazione e dissimulazione più di quanto fosse necessario, per istornare qualsiasi pericolo proprio, e dei compagni. La sua massima forza era nel medio ceto, pur non mancando, nelle sue fila, popolani facinorosi e maneschi, e ricchi possidenti, mentre della nobiltà non figurò nessuno da principio; e solo alcuni anni dopo, quando nacque il Comitato Nazionale, vi aderirono il principe di Piombino, suo figlio Ignazio, il duca Sforza Cesarini, e pochi altri.

Circa le prime vicende di quell’associazione, nonchè di altre minori, son riferite poche, nè molto precise notizie nel diario del Roncalli, e nello studio, che lo precede, abbastanza raffazzonato, del Ghiron e dell’Ambrosi. Per la migliore nozione di quei tempi, non è trascurabile un opuscolo polemico pubblicato nel 1863, dal titolo Il partito d’azione e il Comitato Nazionale romano, opuscolo che contiene cinque lettere di un corrispondente del giornale La Perseveransza, attribuite a David Silvagni, morto pochi anni or sono prefetto di Genova, e scrittore ben competente di cose romane. Di lui apparirà piuttosto frequente il nome in queste pagine, E più che i libri può giovare la già citata testimonianza dei superstiti, e singolarmente quelle di Vincenzo Gigli, di Augusto Castellani, del senatore Lorenzini, dell’ingegnere Cesare Leonardi e di Domenico Ricci.


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È notevole che i primi proclami del Mazzini lasciavano da banda qualunque questione di forma politica. Il futuro rimaneva libero, senza impegni e senza giuramenti, dice il Silvagni, e più esplicitamente nel proclama di Civitavecchia del 1849 il