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158 | capitolo x. |
le basi di una nuova e vasta società politica, che chiamò non più Giovane Italia, benchè ne avesse comune il fine, ma Associazione Nazionale, la quale ebbe il suo governo visibile a Londra, in un triumvirato, di cui egli fu anima e capo, ed era con lui l’esule romano Mattia Montecchi. Secondo il disegno del Mazzini, dovunque fosse possibile raccogliere dieci associati, dovevano crearsi dei comitati locali, con l’obbligo di corrispondere coi comitati regionali; e questi, alla lor volta, con Londra. Roma ebbe due comitati: uno regionale, al quale facevano capo quelli delle provincie: e l’altro, locale, per la città. Benchè il Mazzini non fosse così popolare a Roma quanto lo fu Garibaldi, pure l’aureola del lungo esilio e dell’indefesso apostolato, la sua fede inconcussa, la calda eloquenza e l’alta idealità, gli avevano conquistato molti aderenti, singolarmente tra i giovani, e gli spiriti accesi. A Roma aveva rivelato, se non grandi attitudini di governo, neppure mediocri, e superiori di certo a quelle mostrate dal Guerrazzi in Toscana, per quanto inferiori a quelle del Manin a Venezia. Nel ’48, giova rammentarlo, non tutti i repubblicani d’Italia furono con lui. Il Guerrazzi non lo volle in Toscana, ed il Manin non lo avrebbe tollerato a Venezia, mentre a Roma, come primo triumviro, ebbe incontrastato il governo della repubblica. E se a lui mancavano alcune delle più essenziali qualità politiche, non va dimenticato che la repubblica romana del 1849 non era nata per vivere, ma per cadere di morte onorata e gloriosa. Ed onorata e gloriosa cadde, soprattutto perchè ebbe Garibaldi al Gianicolo, e Mazzini alla Consulta.
Prima di lasciar Roma, dunque, il Mazzini aveva affidato a Cesare Mazzoni l’incarico di formare il primo nucleo dell’Associazione Nazionale, e il Mazzoni si unì a giovani arditi, come Nino De Andreis, Luigi Dreosti, Cesare Zuccarelli, Luigi Silvestrelli, David Silvagni, e a vecchi carbonari, come Giuseppe Checchetelli, Salvatore Piccioni, il popolare tabaccaio di piazza Sciarra, Alceo Feliciani, Giuseppe Mazzoni, Cesare Ceccarelli, e l’avvocato Giuseppe Petroni, già sostituto nel ministero di giustizia durante il periodo repubblicano. La Carboneria non era morta mai in Roma, anzi, negli infimi strati del Trastevere, si può dire che sopravviva tuttora co’ suoi giuramenti, co’ suoi ideali