Una mattina di ottobre prolungò la sua gita al terzo miglio della via Ostiense, sino ad Aquas salvias, dette le Tre Fontane, indugiandosi un pezzo sui vecchi ruderi, sui quali sorgono le chiese dedicate ai santi Vincenzo e Anastasio. Al ritorno si fermò a San Paolo, dove pranzò lietamente, e dove l’abate, ch’era il Pappalettere, per fargli onore, aveva invitato alcuni cardinali, i generali francesi e l’ambasciatore De Rayneval. Dopo pranzo visitò i lavori nella basilica, lodò il Poletti, che fu uno dei commensali, e passato nel famoso chiostro dei Vassalletti, vi rilesse e commentò argutamente i motti claustrali. I ricordi dell’archeologia cristiana, e soprattutto dei primi tempi, sembrava ne intenerissero l’animo; e visitando, come spesso faceva, le catacombe e il Colosseo, s’interessava alle spiegazioni del De Rossi e del Visconti, che sovente l’accompagnavano. E i due grandi archeologi presero da ciò occasione per ottenere da lui l’ampliamento di alcuni scavi al Foro Romano, fra il tempio di Castore e il clivo Capitolino, nel fine d’indagare se le vestigia fossero quelle della basilica Giulia; il restauro di San Lorenzo, opera maravigliosa del Vespignani, e forse la maggior opera di lui; e tanti altri lavori, che largamente ricordano quel Papa sentimentale, amico dell’arte e del romore, e che aveva originalità tutte sue. Uscito un giorno per andare a trottare, come diceva elegantemente il Giornale di Roma, verso il monte Celio, s’incontrò in via dei Giubbonari nel Viatico che, dalla chiesa di San Carlo ai Catinari, processionalmente muoveva verso la casa di una morente. Smonta allora dalla vettura, e tolta una candela al primo, che gli si para dinanzi, si mescola alla folla, e accompagna il Viatico, prima alla casa dell’inferma e poi alla chiesa. Rimontato nel legno, è seguito da una turba plaudente, e di quegli applausi si compiace, come un artista. Andando un altro giorno al Pincio, dove soleva passeggiare a piedi, fissò il pensiero a qualche ornamento, che rompesse la verde uniforme di quei viali. E ricordando che al ministero dei lavori pubblici giacevano, in attesa di una destinazione, cinquantadue erme di uomini illustri, quasi tutti dell’antichità, dispose che fossero rizzate in quel giardino. Ed impaziente com’era d’indugi, massime quando lo stimolava la vanità, o lo pungeva il dubbio che non gli si volesse ubbidire, ordinò che tutto fosse eseguito in