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134 capitolo viii.


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L’aspetto generale della città sdegna qualsiasi paragone col presente. Sembra che sia corso un secolo d’allora! Dopo le nove di sera, le vie erano deserte e quasi buie, e solo le principali, e neppur tutte, rischiarate da un gaz malinconico. S’incontravano pattuglie di gendarmi incaricati del servizio di polizia, d’igiene e del corso pubblico. Il giorno si passava tra affari, visite ai monumenti, alle gallerie e altri svaghi, e le ore correvano con diletto; ma al cader della notte, la città prendeva un aspetto lugubre, che solo un sentimentalismo quasi morboso, o un ridicolo convenzionalismo poteva vestire di mistica poesia, e di memorie di altri tempi. A Firenze, dopo il 1865, ferveva la vita della capitale; e Napoli era sempre la città della gaiezza e del rumore; ma Roma, quasi a mezza via, pareva a noi giovani una città segregata dal mondo. Ci venni la prima volta nel 1867, e avevo poco più di venti anni. Mi ero di fresco laureato, e portavo con me, tra l’altro, le due lauree avvolte in un giornale di Napoli. Nella visita a Ceprano, i gendarmi, svolto il giornale, e letto: «in nome di Sua Maestà Vittorio Emanuele II»; e poi: «dottore nelle scienze politico-amministrative», spalancarono gli occhi, mi chiesero il foglio di via, lo esaminarono, e mi domandarono che cosa erano quelle carte. Udito e visto ch’erano diplomi universitari, mi avvertirono che li avrei riavuti alla frontiera, la quale, dalla parte della linea maremmana, era allora Montalto sul Chiarone, ed io ero diretto a Pisa e a Firenze. Li riebbi di fatti senza ostacoli a Montalto. Non soffrii molestia, girai molto, ruminai dei paragoni con Napoli, e non conoscendo alcuno, mi sentivo addosso quasi come uno sgomento. Ricordo che la vita della città era concentrata fra piazza Colonna e piazza del Popolo; fra via Condotti, piazza di Spagna e il Babuino; fra la Maddalena, la Rotonda, piazza Navona e la Posta, ch’era allora al palazzo Madama. Gli equipaggi, di ritorno dal Pincio, non andavano oltre la colonna Antonina. I dragoni regolavano severamente le file, e se qualche cocchiere nulla nulla deviava, giù piattonate senza misericordia. In cambio del sudiciume delle carrozzelle napole-