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quale vestiva da chierico, causa studiorum. Il caffè della Sapienza fu il precursore del «circolo universitario» che si riuniva al primo piano della Sapienza, in una lunga galleria, di fianco alla biblioteca Alessandrina.

Chi volesse descrivere la vita di Roma negli anni fortunosi, che corsero dall’amnistia all’entrata dei francesi, non potrebbe non consacrare una pagina interessante a quel caffè; e all’altro, detto delle Belle Arti, al Corso, sotto il palazzo Fiano, dov’è oggi il pasticciere Ramazzotti. Ebbero entrambi grande celebrità, ma singolarmente dalla partenza del Papa ai giorni memorabili dell’assedio, e furono perciò chiusi, appena entrarono i francesi, d’ordine del generale Oudinot. Il caffè delle Belle Arti, più ancora del caffè della Sapienza, era frequentato dalle teste più accese, e assiduamente vigilato dal capitano Zambianchi di triste memoria, e con lui da Filippo Capanna, capitano di sicurezza pubblica, e suo degno compagno d’opere di sangue, consumate in omaggio alla libertà durante la repubblica. Alla cantonata delle Convertite era il piccolo caffè Bagnoli, frequentato da gente tranquilla, e per lo più, da vecchi artisti, virtuosi di teatro e giovani disoccupati, che si scambiavano le ultime notizie degli spettacoli e dell’arrivo dei forestieri nei grandi alberghi. Ogni giorno, alle tre pomeridiane, sì fermava innanzi a questo caffè un modesto equipaggio, ne scendeva un vecchietto ed ordinava un caffè, che pagava anticipatamente con due baiocchi, non dando mai un soldo di mancia; e bevutolo, tornava in carrozza senza uscirgli mai detta una parola. Era Vincenzo Grazioli, divenuto poi barone e duca, ed avo dei presenti Grazioli.

Il caffè Greco, rimasto in piedi dopo più di un secolo dalla sua fondazione, era in fama maggiore degli altri. Il Casanova ne parla nelle sue memorie, e sembra che ne fosse stato uno dei frequentatori negli ultimi anni del secolo XVII, quando faceva parte della famiglia del cardinale Acquaviva, ambasciatore di Spagna presso la corte pontificia. Non pochi scrittori, venuti a Roma, e, tra gli altri, il d’Azeglio, lasciarono nelle loro memorie notizie di quella modesta bottega, che divenne dopo il 1848, come si dirà, il quartier generale di pittori e scultori italiani e stranieri, che lo frequentarono fin dopo il 1870.