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128 | capitolo viii. |
gnora Rosina Massoni, prima modista di Roma e madre di monsignor Massoni, internunzio al Brasile, dove morì di febbre gialla.
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Sulla destra del Corso, a partire da piazza Venezia, il maggior palazzo era, com’è oggi, quello del duca Salviati. La duchessa riceveva la sera del lunedì il mondo elegante più ortodosso, e vi si ballava in carnevale. In un ballo in costume, dopo il 1860, vi si presentò, con quello de’ Malatesta di Rimini, il conte Emilio Malatesta, ma poichè allo stemma, che gli ornava il petto, mancava una linea trasversale, fu da quello spirito mordace del duca Proto fatto segno ad un volgare epigramma, che per poco non die’ origine ad una sfida. Al secondo piano del palazzo abitava il generale Rufus-King, ministro degli Stati Uniti. Non essendovi in Roma, allora, una chiesa protestante americana, il generale trasformò l’ampio salone in cappella, mettendo nelle maggiori angustie la cattolicissima padrona di casa, la quale, quando il ministro cambiò alloggio, fece ribenedire l’appartamento, quello stesso che aveva abitato Pellegrino Rossi. Il palazzo non era allora deturpato dalle botteghe del pianterreno.
Dove il principe Odescalchi ricostruì più tardi il nuovo palazzo, era un piccolo fabbricato che apparteneva ai signori Righetti, e all’angolo di San Marcello, sotto l’attuale sede della questura, vi era la libreria Bonifazi. Si alzava, a due passi, la bella chiesa di San Marcello, dov’è sepolto il cardinal Consalvi, e quel dottor Concionofrio Concioni, che aveva sconsigliato il conte Giammaria Mastai Ferretti dallo entrare nel corpo delle guardie nobili, e per cui il giovane patrizio sinigagliese si fece prete, e divenne Papa. In questa chiesa sorge pure il monumento del cardinale Tommaso Welt, che da protestante aveva abbracciato il cattolicismo, ed era entrato, non so perchè, a far parte, coi cardinali Mazio e De Simoni, di un certo triumvirato, dei cui componenti si diceva: «il primo non può parlare; il secondo non sa parlare, e il terzo è meglio che non parli». Ed infatti, il Mazio era accidentato, il Welt non riuscì mai a pronunziare una parola italiana, e il terzo non apriva bocca senza spropositare. Sul conto di quest’ultimo se ne dice-