Pagina:De Cesare - Roma e lo Stato del Papa I.djvu/143


roma di allora 125


*


Dopo il palazzo Simonetti, una piccola casa di proprietà del conte Cella è rimasta oggi tal quale, mentre che nel posto, dove sorge il bel palazzo della Cassa di risparmio, sorgeva un’antica casa appartenente ai mercanti di campagna Alibrandi, ricchi di censo ed anche più di adipe, tanto, ch’era detta la famiglia dei panzoni. Fra padre, madre e sei figli, si dava loro il peso netto di venticinque quintali. E i romani, parlo degl’indigeni, passando sotto il palazzo, studiavano per celia il passo, come a schivare il pericolo che la casa cascasse loro addosso per soverchio peso. Al pianterreno vi era il celebre caffè del Veneziano, illustrato dal Silvagni, e frequentato sino al 1848 da preti, fratelloni e domestici di cardinali e d’altri prelati. I domestici vi erano chiamati non col nome proprio, ma con quello dei cardinali che servivano, per cui il cameriere ordinava, gridando: Tazza bollente a Mezzofanti; Un’ombra a Micara; Caracca a Patrizi; Un’americana a Macchi. Dopo la restaurazione questo caffè perdette il suo vecchio carattere; e tra quelli, che, dopo la passeggiata estiva, seguitarono costantemente ad andarvi a prendere il gelato, fu la vecchia marchesa Casali del Drago, nonna del presente cardinale, che, dopo la visita alle Sacramentate del Quirinale, ordinava al cocchiere: «Al Veneziano». Prima di voltare per il Caravita, sul cantone, trionfava la celebre cappelleria del Testori, il quale, col Vacchini, coll’Antonini, con Vincenzo Rosa e Luigi Mancinelli, era uno dei cinque maggiori cappellai. Sul cantone di via di Pietra, dopo il palazzo Brenda, espropriato come il palazzo Piombino, con una fretta che non ha avuto in tanti anni alcuna giustificazione, sorgeva il palazzo Polidori, il cui pianterreno era stato adibito da Giovanni Olivieri a tipografia. Avendo questi assunto i lavori della Sapienza e dei teatri, stampava nel tempo stesso i libri di testo per le scuole e i programmi degli spettacoli dell’Apollo. Spesso s’incontrava nella stamperia il padre rettore della Sapienza col Jacovacci, il noto impresario di quel teatro. Seguiva, in ordine di botteghe, la profumeria della signora Alegiani, il cui figliuolo, non volendo saperne di odori e di essenze,