Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
116 | capitolo vii. |
lissime rôse dal tempo, e che andavano a beneficio del sottoelemosiniere don Marcello Massarenti, incaricato della distribuzione, il quale soleva qualche volta cedere lo spoglio dei cartocci a qualche signora, o famiglia di conoscenza. Il Massarenti, morto da poco, vecchio e cieco, ha lasciato una grossa sostanza e una preziosa raccolta di quadri.
La commissione di beneficenza, ch’era allora ciò ch’è oggi la congregazione di carità, aveva sede nei locali di Santa Chiara, e ogni giorno veniva invasa da una turba di postulanti, che diveniva più fitta nelle grandi solennità. La stessa folla si addensava nelle anticamere dei cardinali e di altri istituti elemosinieri, e più ancora, nelle parrocchiette, dove andavasi a cercare la passata o passatella del curato, passaporto indispensabile, senza il quale non si otteneva elemosina. Il parroco attestava la buona condotta, anche quando la condotta era tutt’altro che buona, e la povertà, anche se dubbia, del postulante. E tanto erano numerose queste richieste, che ciascun parroco, a scanso di fatica e perdita di tempo, adoperava, per la vidimazione di esse, un timbro a secco portante la scritta: testor de paupertate et honestate oratoris; o in italiano: si attesta l’onestà e la povertà dell’oratore (più sovente oratrice), abitante in questa parrocchia.
Non avveniva mai il caso che il parroco rifiutasse l’attestato, o ricercasse se sotto lo stesso nome gli fossero presentate più dimande. Erano giorni di pia gazzarra, e perciò si tirava a contentar tutti senza guardar pel sottile. Il signor Branzoli-Zappi, in un curioso studio sulla beneficenza minuta della città di Roma, pubblicato nella pregevole rivista l’Italia Moderna, s’indugia sopra alcune forme speciali di suppliche in versi, le quali, mutatis multandis, sono in uso anche oggi. Se allora, in occasione della Pasqua, si scriveva:
Or che il solenne |
Un atto nobile |
Viva il Signore |