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106 | capitolo vii. |
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La regione del latifondo, che circondava Roma, era addirittura un mondo economico e sociale sui generis. Tranne Alessandro Torlonia, il quale, a modo suo, governava egli stesso una parte delle sue tenute, regnava sovrano l’assenteismo dei proprietari. Con la restaurazione si era tornati alla secolare consuetudine dell’affitto delle grandi tenute ai mercanti di campagna. Era tanto comodo riscuotere esattamente la mercede locativa ogni tre mesi, e in danaro, senza curarsi dei capricci delle stagioni! Nulla importava al latifondista se il raccolto fosse copioso o deficiente; egli non visitava le tenute o, in circostanze straordinarie, vi mandava il viceprincipe o il ministro; l’ingegnere, l’agronomo o il fattore. Il mercante di campagna era il proprietario del bestiame, degli attrezzi e di ogni altra cosa attinente all’agricoltura; e delle scarse fabbriche, che erano del padrone, l’affittuario doveva curare la manutenzione. Le condizioni dell’affitto, convenienti alle due parti, erano rese possibili dal sistema doganale, che chiudeva la frontiera ai cereali esteri, sino a che il prezzo del grano indigeno non avesse superato le trenta lire al quintale; e quando la frontiera era aperta, le difficoltà del trasporto e la distanza facevano sì che il grano salisse sino alle quaranta lire, prima che ne fosse importato un solo ettolitro di Toscana, dove il commercio era libero, mentre nulla poteva venire da Napoli, dove vigeva il regime protettore. Dal 1860 al 1870 l’importazione fu resa impossibile dal dazio, che restò inalterato, e per effetto del quale il prezzo del grano, costantemente rimuneratore, compensava le perdite nel commercio del bestiame mal allevato, mal custodito e punto specializzato. I rigori di alcuni inverni facevano strage di vitelli e pecore. Per l’allevamento dei cavalli spesero ingenti somme il De Angelis, il Calabresi e il duca di Sermoneta, ma non ottennero incoraggianti risultati. Gli allevamenti erano passivi, o poco rimuneratori, tranne per la pecora, stante l’esportazione piuttosto copiosa dei caci, della ricotta e della lana, nonchè per il consumo degli agnelli. Ma il margine offerto dal commercio dei cereali era così largo, ripeto, e le pubbliche im-