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90 | capitolo vi. |
pochi giorni che fu ministro di polizia nel 1848. Era un animo retto in sommo grado, e ribelle ad ogni soverchieria. Non era tenero del governo dei preti, e ne portava un giudizio ben severo, ma detestava ancora di più la falsa democrazia. Rideva dell’ingenuità di Pio IX e della ignoranza dei suoi ministri; prevedeva la fine di quel governo, ma era personalmente devoto al Papa. Riprovava i metodi dell’Antonelli, ma serbò con lui amichevoli rapporti anche dopo il 1870. Nessuno meglio di lui conosceva e valutava il suo mondo, colle sue mal celate magagne, e le inverosimili e comiche insulsaggini. Era la storia parlante, arguta e aneddotica di Roma, e perciò più temuto che amato. Il Caetani era un artista, con tutte le bizze e le eccentricità di artista e di principe romano; e amava, come gli artisti, i pranzi all’osteria, passione del resto comune nell’aristocrazia di Roma. L’osteria non urtava i pregiudizi del patriziato; e tutto ciò che piace, fa comodo e fa buon sangue, allora non si respingeva, come non si respinge oggi; ma allora i gusti erano più semplici. I grandi menus francesi servivano nelle occasioni eccezionali, mentre le fettuccine e il capretto, il fritto, la squisita ricotta, e la maravigliosa cicoria selvatica erano il pasto ordinario e preferito di ogni ceto. All’osteria, e singolarmente al Falcone e al Lepre, negli ultimi tempi, non era infrequente il caso di trovare dei signori all’ora di colazione, o dei grandi pique-niques di sera, come in Ghetto, nella stagione dei carciofi, era un’invasione della migliore società per fare onore a quell’appetitoso prodotto romanesco. Si può immaginare di quanta attenzione fossero fatti segno i signori, quando onoravano di loro presenza quei modesti locali, nei quali con trenta baiocchi si apprestava un desinare, che forse vinceva per gustosità quelli delle più signorili cucine.
Restò celebre un pranzo in un’osteria fuori porta del Popolo, dato dalla duchessa Castiglioni Aldobrandi ai suoi amici e ammiratori, tra i quali il Sermoneta. Mancava ogni servizio; si mangiò con posate di stagno in una sala terrena affumicata, ed illuminata da lucerne ad olio, a tre o quattro becchi; ma la cucina abbondante e saporita, condita dal buon umore e annaffiata dal vino bianco di Frascati, non poteva lasciar più soddisfatti i nobili banchettanti. La duchessa Adele Castiglioni era,