bello; ma più che il suo decotto, mi svegliò il solito concerto mattutino dei gorgheggi del tenore e del gnaulio del bimbo brasiliano, accompagnati dalle note del pianoforte, che doveva esser sonato da quel bel tometto della signorina della lettera. Fra questi rumori, mi ferì l’orecchio una discussione concitata che veniva dal camerino accanto, occupato dalla signora della spazzola e da suo marito. Oh miseria! Non capivo che qualche parola qua e là; ma lo stridore e l’accento di quelle due voci, ferme nella loro concitazione, e animate da un sentimento meno caldo e più tristo dell’ira, rivelavano la consuetudine della disputa nata di nulla, involontaria quasi, come uno straripamento improvviso di pensieri e di sensi maligni, ch’ei lasciassero andare per non morir soffocati. Il dialogo era rotto da risa sardoniche e da parole tronche, ripetute parecchie volte or dall’uno or dall’altro, sullo stesso tuono, come un ritornello ingiurioso, e da certi: — Taci! Taci! — piuttosto che detti, fischiati, in cui non si distingueva più la voce dell’uomo da quella della donna, o parevan lacerati dai denti. Era come una lotta sommessa di soffi avvelenati, cento volte più penosa a sentirsi che le percosse e lo grida. Che tremenda cosa quell’odio coniugale
De Amicis, Sull'Oceano. |
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