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come quei che si vedono nelle vetrine dei parrucchieri; il quale girava intorno degli occhi di pesce sospettosi, e non parlava a nessuno. Domandai all’agente se sapeva chi fosse. Oh! un bel caso. Si sospettava che fosse un ladro fuggitivo. Ne correva la voce sul Galileo. Era un francese. Non si sapeva quale dei passeggieri, leggendo il Figaro arrivato a Genova il giorno stesso della partenza, aveva creduto di riconoscere una maravigliosa rassomiglianza fra quella faccia strana e diffidente, e certi connotati che dava il giornale parigino di un cassiere di non so quale casa bancaria di Lione, scappato tre giorni prima, lasciando un vuoto di macchina pneumatica. Egli avrebbe fatto delle investigazioni: alla peggio, sperava di scoprire il segreto all’arrivo, quando fosse salita a bordo la polizia. Della coppia matrimoniale che sedea dirimpetto a costui, non aveva ancora chiesto informazioni: erano i miei due vicini di camerino, quelli della spazzola: la signora, sulla quarantina, piccoletta, con due occhi freddi, e un perpetuo sorriso forzato sulle labbra sottili; non brutta, ma di quelle persone a cui l’animo ha guastato il viso, le quali, a primo aspetto, ispirano ripugnanza per cagion del male che debbono fare agli altri, e compassione per quello