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l'italia a bordo 39

La nebbia quasi a un tratto svanì, e a sinistra si mostrò la costa d’Africa: una catena di monti lontani, d’una chiarezza di cristallo. E l’Atlantico ci cullava con le sue onde lunghe e placide, simili a vastissimi tappeti azzurri, frangiati d’argento, scossi da miriadi di mani invisibili, gli uni dietro gli altri, senza fine; a traverso ai quali il Galileo distendeva, passando, uno sterminato strascico di trina bianca. Non era diverso il nuovo mare da quello donde uscivamo; eppure ci veniva fatto di alzar la fronte come se lo spirito fosse più libero e l’occhio spaziasse più lontano, e di ber l’aria a lunghe inspirazioni, con un senso nuovo di piacere, come se già ci portasse i profumi potenti delle grandi foreste dell’America latina, alla quale andava diritto il nostro pensiero con un volo di seimila miglia. Il cielo era tersissimo, e pendeva sull’orizzonte uno spicchio bianco di luna, quasi svanito nella soavità dell’azzurro. Pareva che quell’oceano, a cui la maggior parte di noi aveva pensato fino allora con inquietudine, ci dicesse: — Venite, sono immenso, ma buono.