vano, in mezzo a un tramestio di valigie, a uno scambio vivace di strette di mano e di buoni auguri. Ed ebbi allora una prova di più di quanto sia difficile il conoscer la gente per viaggio. Certi passeggieri, con cui avevo avuto per tutto quel tempo una dimestichezza quasi d’amico, se n’andavano senza dir crepa o salutando appena col cappello, come se m’avessero già dimenticato: altri coi quali non avevo mai scambiato una parola, si vennero ad accommiatare da me con una espansione affettuosa e sincera, che mi fece rimanere. E fra molti altri interveniva la stessa cosa. Il marsigliese fu cordiale: mi ripetè che amava l’Italia, perchè gli uomini come lui erano superiori agli odi dei governi, e che avrebbe fatto il possibile per conciliar gli animi degli italiani e dei francesi nell’Argentina. — Tachez d’en faire autant parmi vos compatriotes. Quant’à moi, on me connait dans les deux colonies. On sait — concluse con un gesto siolenne — que j’apporte la paix! Adieu. — L’agente di cambio si presentò a salutare gli sposi, i quali s’intimidirono, presentendo la frecciata del Parto. — Oramai — disse loro — non troveranno più alcuna difficoltà per la lingua in America, perchè... sia detto senza rimprovero, un gran bell’esercizio l’hanno fatto! — E quelli