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406 | sull'oceano |
Montevideo, lontana, non appariva che come una lunga striscia biancastra sopra la riva bruna, rilevata dalla parte d’occidente in un colle solitario, il Cerro, memore di Garibaldi: un paesaggio vasto e semplice, che aspettava il sole, in silenzio. Lontano fumavano dei vaporini che venivano verso di noi.
Salii sul cassero per vedere l’ultima volta i miei mille e seicento compagni di viaggio. Arrivarono pochi minuti dopo l’impiegato e il dottore uruguayo, il comandante, gli ufficiali, il medico di bordo. E la triste processione incominciò. Triste, non solo in sè medesima ma perchè quella numerazione della folla come d’un armento, del quale non importava a nessuno di conoscere i nomi, faceva pensare che tutta quella gente fosse contata per esser venduta, e che non ci passassero davanti cittadini d’uno Stato d’Europa, ma vittime d’una razzìa di ladri di carne umana fatta sopra una spiaggia dell’Africa o dell’Asia. I primi passarono lentamente. Ma a un atto d’impazienza dell’impiegato del porto, il comandante fece un cenno, e allora cominciarono ad affrettare il passo, a sfilare quasi correndo. Le famiglie passavano unite, il padre primo, le donne dopo, coi bimbi in collo e i ra-