tere; poi s’accostò alla ragazza genovese, e non vidi bene, perchè la gente s’era affollata, ma mi parve che le infilasse un anello nel dito. I ragazzi le correvano incontro da ogni parte, un branco dei più piccoli la seguitava, ed essa passava una mano sulle fronti, e coll’altra dava dolci e soldi. Andò a salutare la famiglia di Mestre, e baciò il piccolo Galileo. Vari uomini le si avvicinarono col cappello basso, e stettero discorrendo un poco con lei, come se le chiedessero consiglio. Qua e là dava strette di mano, e sembrava che si congedasse. Il suo piccolo viso bianco e i suoi capelli di morta si perdevano nella folla, poi riapparivano: si nascose nell’ombra sotto il castello di prua, ricomparve alla porta della “cambusa„ sparì per la scala dell’infermeria, la rividi accanto al verricello, in mezzo a un gruppo di donne che sporgevano verso di lei i bambini lattanti, perchè la toccassero. Dove passava, le faccie ridenti si ricomponevano, quelli che schiamazzavano, abbassavan la voce, tutti si scansavano e si voltavano. E il suo volto mostrava una stanchezza mortale, ma sempre aveva quel sorriso, un tremolio luminoso negli occhi velati e sulle labbra smorte, nel quale pareva che si fosse ridotta tutta la sua vita, come un ultimo luccicore