di carbone, d’olio, di catrame e di fritto, è coperta da una terrazza vastissima, come da una piazza pénsile, alla quale il fusto enorme dell’albero maestro e i due giganteschi fumaiuoli che s’alzano fra lo grandi trombe a vento e le alte grue delle lance, e in fondo il palco di comando, col suo lungo terrazzino aereo, danno un aspetto monumentale stranissimo, che alletta la fantasia come l’immagine d’una città misteriosa. Da questa terrazza, occupata in gran parte dai passeggieri di terza, si domina tutta la prua, un pezzo d’arca di Noè, un’altra vasta piazza affollata di passeggieri, che ha lungo i due lati le stalle dei bovi e dei cavalli, le stie dei piccioni e delle galline, le gabbie dei montoni e dei conigli, in fondo il lavatoio a vapore e il macello, di qua i cernieri dell’acqua dolce e gli acquai marini, nel mezzo la casetta dell’osteria e la boccaporta dei dormitori femminili, chiusa da una bizzarra sovrapposizione di tetti vetrati, che servon di sedili alle donne, e al di sopra di ogni cosa l’albero di trinchetto, che disegna i suoi cordami e le sue scale nere sul cielo. Ultimo s’alza il castello di prua, che copre i dormitori dei marinai, la fabbrica del ghiaccio e l’ospedale, formando un’altra piazzetta finita in punta, dove un’altra folla si pigia fra gli argani,