cicaleccio da ogni parte che pareva che tutti i mille e settecento passeggieri parlassero insieme. Tutti descrivevano, tutti raccontavano, ed eran racconti concitati, interminabili e dieci volte ripetuti di mille piccoli incidenti di nulla, che la paura aveva ingigantiti nella immaginazione di ognuno, e che assumevano nell’esagerazione del discorso l’importanza di fatti degni di poema e di storia. Metà dei passeggieri dimenticando o negando la paura propria, dipingeva a colori comici, e fingeva di sprezzare, e forse disprezzava realmente la paura dell’altra metà. Dopo la cena, s’intese a prua un chiasso straordinario di canti e di grida di briachi. E anche alla nostra mensa ci fu festa. Tutti sgranocchiarono come lupi, contenti della vita, beffandosi dell’oceano. E il pranzo fini comicamente con un brindisi che fece il marsigliese all’ intrepidité froide del comandante, con l’accento e il sorriso consapevole di uno che se ne intende. Ma l’avvocato non c’era. E, con rammarico di tutti, mancava anche la signorina di Mestre, che da quelle otto ore di strapazzo era stata scossa profondamente, e aveva avuto un trabocco di sangue.