singhiozzando; lui le aveva chiesto perdono d’averla indotta a quel viaggio; s'erano dato il bacio supremo, anzi molti baci supremi. — Ah! Nina, mia! — Ah! mœ poveo Gmo! — E... niente spagnuolo, oh no davvero. Detto questo, scomparve, ma tornò un minuto dopo, a zig zag, facendomi cenno d’accorrere presto, che c’era una grande cosa da vedere. Lo seguitai alla meglio: si fermò davanti al camerino dell’avvocato, ch’era aperto, e mi disse di guardare, dando in una risata. Oh mostro non mai veduto! Io non riconobbi subito una creatura umana in quella informe cosa che vidi distesa a traverso al tavolato, e da cui usciva il guaito che fa Ernesto Rossi sotto le spoglie di Luigi undecimo atterrato da Nemours. L’avvocato, bocconi, insaccato in non so quale vestimento di salvataggio inglese o americano, imbottito di sughero, aveva una gobba sul petto e una sul dorso, ricoperte da una specie di corazza di cotone forte, e una corona di vesciche gonfiate intorno al busto, che gli davan l’aspetto d’un bizzarro animale mammelluto, cascato a terra senza sensi, vinto dai dolori d’un’esuberanza di latte. Quel carico enorme di ridicolo su quel pover’uomo così disfatto e così infelice destava una compassione infinita. L’agente si chinò per