Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/350

330 sull'oceano

delle montagne nere che s’avanzavano e i profili delle muraglie ciclopiche che rovinavano d’un colpo, e tra l’una e l’altra saetta che rigavan di fuoco l'ammasso spaventevole delle nubi caliginose, una luce non mai vista al mondo, da non saper dire se fosse notte o giorno, la luce indeterminata dei paesaggi dei sogni, in cui pare che non splenda il nostro sole. E così mi s’era turbata pure l’idea del tempo, che non avrei saputo dire in alcun modo da quante ore la tempesta durasse. E mi sembrava che avesse a durare un tempo incalcolabile, non sapendo immaginare una cagione abbastanza potente per cui quell’enorme commovimento dovesse aver fine. Mi sembrava incredibile che non tutto l’oceano e il mondo intero fossero a soqquadro come quel mare, che ci fossero poco lontano e poco al di sotto di noi delle acque tranquille, e della gente sulla terra che attendeva in pace alle proprie faccende. Ma mentre mi passavano questi pensieri, che erano come un breve respiro dell’anima, ecco un’altra ondata di fianco, come un colpo di cannone da costa, un altro sussulto del piroscafo, come di balena ferita al cuore, e un altro schianto di travi, d’assiti, di tavoloni scricchiolanti e gementi, il senso dell’imminenza del disastro, la morte sull’uscio, un addio a tutto,