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In extremis 343

da capo a piedi come il fischio d’una palla o d’una lama di scure che ci rada le tempie. Si sentiva ad ogni ondata come la botta d’un artiglio gigante che piombasse sul bastimento e ne strappasse via un pezzo; s’udiva il tonfo tremendo di centinaia di tonnellate d’acqua cadenti sul tavolato, come se un torrente vi si rovesciasse da una grande altezza, e poi il rumore di cento torrentelli correnti in tutte le direzioni, con la furia d’un’orda di pirati che fossero saliti all’arrembaggio. Dei movimenti del piroscafo non capivo più nulla, non ne prevedevo più alcuno: era come preso a calci e a schiaffi, sollevato, buttato via, palleggiato e rigirato dalle mani d’un titano. La macchina aveva degli arresti e dei silenzi improvvisi, come colpita da paralisi, l’asse dell’elice dava degli scossoni di terremoto, l’elice dei colpi interrotti e pazzi, e si sentiva a momenti girar furiosa fuori dell’acqua, e poi tuffarvisi di nuovo, con un terribile colpo. E negli intervalli fra i rumori più grandi, s’udivano sopra passi precipitati, sonerie elettriche, grida lontane d’una risonanza strana, come gli echi delle valli piene di neve, e dai camerini dei lamenti strozzati come di gente scannata, che vomitasse le viscere. A un certo punto vi fu una scossa di sotto in su così vio-