fremiti di terrore per le sue ossa lunghe e sottili, vicine a spezzarsi. Avevo un bel tentare di farmi animo con la statistica dei naufragi, uno ogni tante migliaia di viaggi, o che so io, e con l’idea della solidità grande di quei piroscafi enormi, che l’onda non può spezzare: quella musica smentiva ogni statistica e scherniva ogni consolazione. Frattanto il mare ingrossava sempre, la pioggia cadeva a torrenti, i lampi raffittivano, il tuono rumoreggiava quasi continuo, il piroscafo faceva degli sbalzi tali che, a occhi chiusi, mi pareva di esser sopra una gigantesca altalena a corda, che descrivesse archi di mezzo miglio, e ad ogni volata perdevo il fiato, per non ripigliarlo che nei pochi momenti di quiete che passavano tra l'una l’altra. E quell’essere in assoluta balìa d’una forza prodigiosa che non mi lasciava più libero nè il movimento nè il pensiero, mi dava un senso d’avvilimento fisico inesprimibile, come d’una bestia legata e mulinata nel vuoto da una grua colossale, e l’idea che quel supplizio potesse durare dieci ore, un giorno, tre giorni, mi sgomentava l’anima come il concetto dell’infinito. Pure fino a un certo punto serbai la mente lucida, tanto da ricordarmi ora presso a poco quello che in quel frattempo pensavo. Ma dopo una o due