notte fossero una disperazione; per lui, s’intende, e per quella certa ragione. La notte scorsa, per esempio, gli sarebbe stata contata lasciù. — Grandi cose, dunque? — gli domandai. Alzò gli occhi al cielo. Poi disse bruscamente: — Son stüffo de fa o ruffian — E se n’andò, vedendo avvicinarsi l’agente. Il quale pure era pensieroso, tormentato da due misteri che non gli riusciva di penetrare: l’uno, già detto, chi fosse il sospiro segreto di quel crostino della pianista, di cui coglieva sempre a volo lo sguardo e mai il guardato, come se facesse all’amore con uno spirito; e l’altro, il non aver veduto nessun indizio, neppure leggerissimo, sul viso di nessuno, della scenata che il comandante aveva promesso di fare per la signora svizzera. Ed era comico il veder quell’uomo coi capelli bianchi preoccupato sul serio di quelle due bazzecole, come un ministro delle fila d’una congiura di stato. E dicono che l’oceano ingrandisce l’anima! Eppure il comandante egli lo conosceva: non era uomo da aver minacciato a vuoto, in un affare di quella natura: chi poteva aver scongiurato la tempesta? Oh! l’avrebbe scoperto, se avesse dovuto logorarsi il cervello e star appostato tre giorni e tre notti, come un cacciatore di tigri.