Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/325


La giornata del diavolo 321

comparsa del comandante, che cercava qualcuno intorno con un brutto sguardo, li quietò. Il salone ricadde in un silenzio di cripta.

Non ci potendo più reggere, uscii per andare sul palco di comando. Ma non ero ancora in fondo al passaggio coperto, che udii un grido di terrore, e vidi molta gente affollarsi ai piedi di una delle scalette del palco. Un bambino, salito fin sull’ultimo scalino, era precipitato di lassù, dando del capo sul tavolato. Sua madre, credendolo morto, gli si gettò sopra disperatamente, e strettolo fra le braccia, cominciò a urlare come una pazza: — Me lo jettano ammare! Me lo jettano ammare! U peccirillo mio! A criatura mìa! — e faceva l’atto di difenderlo, minacciando, digrignando i denti, respingendo la folla. Il medico accorse, e menò madre e bimbo all’infermeria. Quest’accidente suscitò un gran fermento di lamentazioni contro il piroscafo, che era pien di pericoli, e contro il Comando, che non metteva un marinaio di guardia alle scale. Il vecchio dal gabbano verde prese a declamare rabbiosamente, coi capelli al vento e l’indice in aria, dal castello di prua. Ma un altro guaio era seguito poco prima. Lo scrivanello, a cui il fatto dei baci aveva rialzato il credito a prua,

De Amicis.Sull'Oceano 21