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il morto 297


Il giudizio fu una scena di commedia impagabile.

Il padre, fuori dei gangheri, inveiva ancora: — Mascarson! Faccia de galea! Porco d’un ase! Te veuggio rompe o müro! - E allungava le mani per acciuffarlo.

L’altro metteva pietà, non negava nulla, diceva d’aver perso la testa, domandava scusa, affermava di essere un giovane onesto, voleva mostrare una lettera del sindaco del suo paese, (Chiozzola, mi pare) e si pigliava la testa fra le mani, piangendo come un castoro, facendo degli atti di disperazione da Massinelli in vacanza. — Ma se dico che ho perso la testa... son stato una bestia... giuro sul mio onore... non avevo l’intenzione... sono pronto a dare il mio sangue... — E sotto al suo dolore sincero e alla vergogna, traspariva la forza della passione non ignobile che gli aveva fatto far lo sproposito, uno di quei violenti amori che divampano nei mingherlini, come fiammate di gas dentro agli scartocci di vetro.

Ma il padre non si lasciava commovere, sdegnato anche più, e come offeso nell’orgoglio paterno, che un tale atto d’audacia fosse stato commesso da un così meschino personaggio, da quel mezz’uomo che reggeva l’anima coi