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296 | sull'oceano |
scrivanello di Modena, smorto, senza cappello, con una faccia che era una vera quietanza di scapaccioni. Un corteo di facce sghignazzanti li seguitava. Gli arrestati entrarono nel camerino del Commissario; il corteo s’affollò davanti all’uscio.
Era accaduto questo. Scoppiato l’acquazzone, lo scrivano s’era gittato con gli altri nel passaggio coperto, ed era rimasto chiuso egli pure nella calca, come un’acciuga in un barile. Ma per fortuna insieme e per disgrazia, s’era dato il caso che, proprio davanti a lui, con le trecce contro al suo viso, con la schiena contro al suo petto, si trovasse imprigionata nella folla la ragazza genovese, e dietro di lui, non veduto, l’altro, ahimè! lo suocero dei suoi sogni. Il povero giovane, innamorato morto da diciassette giorni, inebbriato dal profumo, bruciato dal contatto, tentato dall’oscurità, aveva perso il lume della ragione, e s’era messo a inchiodar baci su baci sul collo e sulle spalle del suo idolo, con tal furia, con tale forsennatezza d’amore, che non aveva neppure sentito la prima scarica delle vigorosissime pacche paterne. Alla seconda era rientrato in sè, come chi rinviene da un delirio, e s’era creduto spacciato.