Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/285


l'oceano azzurro 281


qualche cosa c’era, e avrebbe indagato ancora. E non avevo inteso la novità? Avevano mandato in fretta a chiamare il prete napoletano, che era uscito a passi di dromedario, infilandosi il tonacone: qualcheduno doveva star male a prua. — Basta, — concluse, — vado su in riposteria a bere un bicchiere di birra, e poi rivengo giù a vedere se si son quetati: accidenti! Buona notte.

Fu una pessima notte. Eran vicine le dodici, e la maggior parte vegliavano ancora. L’afa opprimeva tutti. E per giunta pareva che quella notte il dormitorio si fosse mutato in una enorme cassa armonica, in cui ogni sospiro diventava sonoro, e si sentiva da un capo all’altro dei corridoi. Nel camerino dietro al mio russava il mugnaio, che ogni tanto cambiava di posizione, mettendo un gemito, e sclamando: — Ah! povra Italia! — che doveva essere il suo intercalare. Di quando in quando mi giungevano all’orecchio affievoliti i colpi di tosse della signorina di Mestre, che dormiva dall’altro lato del piroscafo. Il bimbo più piccolo della brasiliana, malaticcio, piangeva, e sentivo la cantilena sommessa e triste della negra, una specie di singulto d’upupa, che mi faceva passare per la fantasia i canti lamentevoli degli schiavi d’Africa