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il mare di fuoco 248

e chiuso, come se quella compagnia gentile rabbuiasse, invece di rasserenare, la sua filosofia. Ora non parlava più con nessuno. Passava delle ore a poppa, appoggiato al parapetto, a guardare la scia del Galileo, come un foglio scritto interminabile, che si svolgesse sotto i suoi occhi, narrando la storia del mondo. E la sua selvatichezza sdegnosa aveva prodotto negli altri l’effetto solito: antipatia dapprima e ostentazione di altrettanto disprezzo; poi, quando la costanza della sua condotta mostrò ch’essa derivava da natura e non da proposito, un sentimento di rispetto e di timidezza, il quale si rivelava nella prontezza istantanea con cui lo sguardo dei passeggieri saliva su per gli alberi o fuggiva poi mare, quando egli, discorrendo con la signorina, girava gli occhi su di loro, per vedere se lo guardassero, e con che viso. Sembrava anzi che fosse nata in tutti una certa simpatia per quell’orso orgoglioso, il quale non solo non faceva nulla per guadagnarsela, ma aveva l’aria di far di tutto per suscitare il sentimento contrario. Era perché la tristezza, quand’è congiunta alla bellezza e alla forza, seduce, come indizio d’un nobile disprezzo per le facili soddisfazioni che possono dar l’una o l’altra; oltre di che da tutta la persona di lui, e da quel lume profondo degli