Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/239


il piccolo galileo 235

vano scala, e brillavano dalla contentezza d’aver conquistato i primi posti, e dietro di loro si sentiva il mormorio della folla. C’erano sul tavolo il ruolo d’equipaggio e il giornale di bordo, aperti; un vassoio con un bicchiere d’acqua e una saliera; e dei moduli stampati d’atti di nascita. Tutti stavano con una certa compostezza pensierosa. Quella camera singolare, tappezzata di carte marine, luccicante qua e là di strumenti nautici, con quelle ventiquattro lettere maiuscole iscritte come un epitaffio enimmatico sopra le bandierine dei segnali, — quel gruppo di persone così diverse e strane, che barcollavano ogni tanto per effetto d’un leggero rullio, — quegli ufficiali immobili e gravi, — quel brulichio d’una moltitudine che non si vedeva, — e quell’orizzonte oscuro dell’oceano, che tagliava il vano dell’uscio, — destavano insieme un sentimento di stupore e di rispetto che s’esprimeva in un bisbiglio sommesso. Dopo alcuni momenti arrivò il lungo prete, con una stola e una cotta che pareva avessero servito a battezzare i primi navigatori dell’Atlantico, e l’attenzione di tutti si fissò su di lui. Entrò, curvandosi, senza guardar nessuno, e avvicinatosi al tavolo e fatto il segno della croce, cominciò a mormorare a occhi chiusi.