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il passaggio dell’equatore 221

una luce sinistra che gettasse essa medesima sulle sue miserie, e mi oppresse l’anima. O miseria errante del mio paese, povero sangue spillato dalle arterie della mia patria, miei fratelli laceri, mie sorelle senza pane. Ai padri dei soldati che han combattuto e che combatteranno per la terra in cui non poterono o non potranno vivere, io non v’ho mai amati, non ho mai sentito come quella sera che dei vostri patimenti, della diffidenza bieca con cui ci guardate qualche volta, siamo colpevoli noi dei difetti e delle colpe che vi rinfacciano nel mondo, siamo macchiati noi pure, perché non v’amiamo abbastanza, perché non lavoriamo quanto dovremmo pel vostro bene. E non ho provato mai tanta amarezza come in quell’ora di non poter dare per voi altro che parole. All’ultimo sogno di Fausto pensai: aprire una terra nuova a mille e a mille, e vederla fiorire di messi e di villaggi sui passi d’un popolo operoso, libero e contento. Per questo solo importerebbe di vivere, perché la patria e il mondo siete voi, e finché voi piangerete sopra la terra, ogni felicità degli altri sarà egoismo, e ogni nostro vanto, menzogna.