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218 sull'oceano


faceva della mia lingua, e quello che s’immaginava di aver fatto delle mie concittadine.

Levatici da tavola, salimmo sul terrazzino del palco di comando, preceduti dal quarto ufficiale che portava una bracciata di razzi, di girandole e di candele romane. A stento vi si stava tutti, ed io fui spinto a sinistra, davanti al Commissario, e in mezzo all’“impiccato„ e al “direttore della società di spurgo inodoro„. La prua era già tutta affollata, ma il cielo essendo coperto di nuvole dense, e non mandando che una luce velata i tre fanali bianco, rosso e verde, che ardevano, come tre occhi, alle due estremità del terrazzino e alla testa d’albero, tutta quella folla rimaneva quasi all’oscuro; e da quell’oscurità venivan su cento suoni confusi di canti di briachi, di risa di donne e di grida di bimbi, che parevan d’una moltitudine dieci volte maggiore. Mi sembrava di essere sul terrazzo d’una casa municipale, la sera d’una dimostrazione carnevalesca contro il sindaco. Quando si accese il primo fuoco di bengala, s’udì uno scoppio di evviva, e si videro mille e seicento visi illuminati, una vasta calca di gente ritta sulle boccaporte e sui parapetti, accucciata sul tetto dell’osteria e sulle gabbie,