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18 | sull'oceano |
come contratta da una espressione di disprezzo, che faceva violenza alla bontà della bocca. Non so bene per quale associazione di idee, pensai a una di quelle nobili figure di Garibaldini del 60 che avevo conosciute nelle pagine indimenticabili di Cesare Abba, e mi fissai nel capo ch’egli avesse fatto quella campagna, o che dovesse essere lombardo.
Mentre guardavo lui, il mio vicino di sinistra sbattè la forchetta sulla tavola, dicendo: — È inutile.... se mangio, crepo.
Costui era un ometto mingherlino, con un viso di dolor di corpo e una gran barba nera, troppo lunga per lui, che gli pareva appiccicata, come quelle dei piccoli maghi che saltan fuori dalle scatole a molla.
Gli domandai se si sentisse male. Mi rispose con la pronta familiarità dei malati, a cui si parla della loro malattia.
Non si sentiva male o, per dir meglio, non soffriva propriamente il mal di mare. Soffriva d’una malattia particolare, più morale che fisica, che era un’avversione invincibile al mare, un’inquietudine irosa e triste che lo pigliava al primo salire sul piroscafo, e che non l’abbandonava più fino all’arrivo, se anche avesse avuto sempre il mare come un lago e il cielo come uno spec-