Pagina:De Amicis - Sull'Oceano, 1889.djvu/217


il passaggio dell'equatore 213


sava la linea per la prima volta; un’angosciata, che finiva sempre male. D’altra parte, non ci sarebbero stati i personaggi adatti. Perfino il genovese monocolo si carezzava la barba di crino di spazzola con un’aria meno annoiata del solito. Fermava qua e là ora l’uno ora l’altro, e gli diceva serio, fissandolo: — Petti di pollo al madera. — Aveva strappato al cuoco una manata di segreti, e diceva che ci sarebbe stato un pranzo splendido, e dei discorsi. L’agente di cambio, con cui feci un giro di passeggiata, m’annunziò un brindisi del marsigliese: lo aveva inteso far le prove nel camerino. Mi riferì nello stesso tempo che la sera innanzi era seguita una scenata, per causa di quella lingua serpentina della madre della pianista; la quale avendo insinuato al presunto “ladro„ ch’egli avrebbe dovuto smentire le voci calunniose che correvano sul suo conto a bordo, questi era andato dal comandante a domandare a voce alta quali fossero quelle voci e chi le avesse messe in corso, minacciando colpi di spada e di pistola; ma pareva che, pregato, avesse promesso di star quieto fin all’altro emisfero. Saliti sul cassero, trovammo quella scellerata sputapepe, che parea che godesse in cuore d’essere finalmente riuscita a sollevare uno