Passate le due il cassero si sgombrava. Il tenore scendeva nel salone a canterellare sul pianoforte, il professore andava sul castello centrale a dar lezioni di varia scienza al basso popolo, gli argentini a giocare alle carte, gli altri a fare il bagno, a dormire, a scrivere o a rilisciarsi. Io seguitai quel giorno la signorina di Mestre che andava con la zia a fare la visita solita alla sua famiglia emigrante, col solito pacco di frutta e di dolci. Fin dai primi passi che fece a prua, potei notare quanto fosse già andata innanzi nella simpatia di tutta quella gente. Al suo apparire, anche i contadini più rozzi si scansavano, e tutti guardavano attentamente le vene azzurre di quel collo sottile, quelle mani gracili, quella grossa croce nera spiccante sul vestito color verdemare, che non disegnava alcuna curva, e pure aveva la sua grazia. Neanche sulla faccia delle donne più maldicenti e più ardite, che parlavan di lei dietro le sue spalle, non si vedeva l’ombra d’un pensiero maligno. E non era rispetto per la signora; ma per la triste sentenza che le vedeano scritta sul viso, e per la dolce rassegnazione con cui essa mostrava di portarla, senza nulla aver perduto della bontà e della gentilezza giovanile che nascon dall’amor felice della vita.