era formato davanti all’uscio un gruppo di donne e d’uomini della terza classe, fra i quali una faccia buffa di contadino, a cui mancava la punta del naso, e che doveva essere il reo, che s’andava scolpando: — Infine... non ho mica detto d’esser sicuro, io...: non ho fatto altro che una supposizione... — Era il reo. Infatti, essendosi affacciato all’uscio il Commissario, egli disse: — Son io, — ed entrò. Subito s’udì un’eruzione d’improperi bolognesi, che mandarono all’aria la famiglia distinta: — Carogna d’un fastidi! At el feghet d’avgnìrom dinanzi? At ciap pr’el col, brott purzèll! brott grògn d’un vilan seinza educazion! — Poi s’intesero le tre voci insieme, poi quella sola del colpevole. Diamine! La cagione della lite era proprio il contenuto ipotetico di quella famosa borsa, intorno al quale si beccavano il cervello da nove giorni tutti i capi ameni di prua, facendo lo più bizzarre congetture del mondo. Ma la parola incriminata non s’intese. S’intese però il Commissario fare una risciacquata al contadino, minacciandogli i ferri, e questi chieder scusa, e la bolognese brontolare ancora; dopo di che l’uno uscì a capo basso e l’altra a fronte alta; ed io, alzala la tendina verde, vidi il giudice buttato a traverso al divano, con le mani sui fianchi, soffocato da un accesso d’ila-