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sul tropico del cancro 137


L’uscio non essendo mascherato che da una sottile tendina verde, si sentiva qualche parola. Povero Commissario! Non tardai ad avere un’idea della santissima pazienza che egli doveva esercitare in quella specie di sedute. La voce della querelante incominciò concitata dalla collera, piena di superbia e di minacce. Non capii altro se non che si lagnava d’un’ingiuria, e che questa doveva essere una supposizione che aveva fatta un passeggierò sopra il contenuto del suo borsone misterioso. Riferiva il fatto, chiedeva la punizione dell’ingiuriatore, intimava al Commissario di fare il suo dovere. Questi la richiamò al rispetto della carica e le raccomandò di calmarsi, promettendo di domandare informazioni. A quelle parole, la voce di lei si raddolcì un poco, e mi parve che incominciasse un racconto, con un’intonazione sentimentale, che s’alzava grado a grado al drammatico. Sì, era la sua autobiografia, una delle solite: una famiglia distinta; un parente che scriveva nei giornali, e che avrebbe messi tutti a segno; la madre, il padre, una buona educazione, e poi delle disgrazie, l’ingiustizia della sorte, una vita illibata.... A un tratto, la crisi inevitabile: uno scoppio di pianto. Allora udii la voce del Commissario che la confortava. E intanto si