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sul tropico del cancro 135


immane, che affronta e vince le tempeste dell’oceano, è delicato come un organismo umano, e il più piccolo turbamento del più piccolo dei suoi membri lo sconturba tutto, e vuole un rimedio immediato. A un corpo vivo egli rassomiglia infatti, assetato, come gli uomini che gli danno il pasto, dall’incendio ch’egli bolle nel ventre, e costretto a tracannar senza tregua dal mare un torrente d’acqua, ch’egli rigetta in fontane fumanti; e tutto quel complesso di ordigni è come un torso titanico, di cui tutti gli sforzi convergono nell’impulso formidabile d’un lunghissimo braccio di ferro, col quale gira la gran vite di bronzo, che lacera l’onda e muove tutto. Si guarda e vengono in mente le antiche liburne, con le tre coppie di ruote ad ali, mosse da buoi; e s’immagina con un senso d’alterezza lo stupore che inchioderebbe là un antico a quella vista, e il grido d’ammirazione che gli uscirebbe dal petto! Egli però non potrebbe immaginar mai quanto quella maraviglia sia costata ai suoi simili: un secolo di tentativi sfortunati, un altro secolo di trasformazioni continue, una legione di grandi ingegni che spesero intere vite attorno a un perfezionamento che un altro successivo fece cader nell’oblio, e poi il martirio del Papin, il suicidio di