gnamento esteriore d’un duetto intimo molto bene intonato. Avendo cercato con gli occhii il marito, lo vidi sotto, sulla piazzetta, profondamente attento al discorso d’un ufficiale di bordo che gli spiegava il meccanismo del sestante a canocchiale. Sur uno dei due lunghi sedili del mezzo c’era la signorina di Mestre e sua zia. Osservai questa bene per la prima volta: era un esempio, non raro a vedersi, d’uno sbaglio della natura, la quale aveva imprigionato un’anima femminile in un corpo di maschio, dal viso largo e ossuto, dalle mani grosse, dalla voce rude. Tutta la femminilità di quella povera ragazza pareva ridotta nei suoi piccoli occhi grigi, che erari pieni di bontà e di gentilezza, e da cui traspariva chiaramente ch’ella aveva coscienza di quella discordanza sgradevole tra la sua persona e il suo spirito, e che da un pezzo era rassegnata a non piacere, e a starsene in disparte, quasi fuori dei due sessi, cercando in ogni modo di passare inosservata. Ma quella timida rassegnazione, appunto, e quell’ombra come di vergogna che velava i suoi occhi, ispiravano un sentimento così tra la pietà e la simpatia, che in qualche momento la faceva parer diversa affatto da quella che era. A un tratto, con molta maraviglia, vidi il garibal-