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portici, e nel mezzo, una statua di bronzo, rappresentante Carlo III. Non avevo ancora dato un’occhiata all’intorno, che un ragazzo avviluppato in una lunga cappa sbrandellata, strascicando due grandi ciabatte, e agitando in aria un giornale, mi corse incontro.

"Vuole l’Imparcial, caballero?"

"No."

"Vuole una cartella della lotteria di Madrid?"

"Nemmeno."

"Vuole dei sigari di contrabbando?"

"Neppure."

"Vuole...?"

"Eh!"

L’amico si grattò il mento.

"Vuol vedere i resti del Cid?"

Vivaddio, che salto! non importa: andiamo a vedere i resti del Cid.

Andammo al palazzo municipale. Una vecchia portinaia ci fece attraversare tre o quattro piccole sale fin che s’arrivò a una stanza dove tutti e tre ci fermammo. "Ecco los restos," disse la donna accennando una specie di cofano posto sur un piedistallo in mezzo alla stanza. Mi avvicinai, essa alzò il coperchio, io guardai dentro. Vi eran due scompartimenti, in fondo ai quali si vedevan alcune ossa ammonticchiate, che parevan frantumi di mobili vecchi. "Queste," disse la portinaia "sono le ossa del Cid, e quest’altre le ossa di Ximene, sua moglie." — Presi in mano uno stinco dell’uno e una costola del-