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fama. L’aragonese, in Spagna, è rispettato. Il popolo di Madrid che trincia i panni addosso agli Spagnuoli di tutte le provincie, che dà al catalano di rozzo, all’andaluso di vano, al valenziano di feroce, al galiziano di miserabile, al basco d’ignorante, tratta con un po’ più di riserbo gli alteri figli d’Aragona, i quali nel secolo decimonono scrissero col proprio sangue la più gloriosa pagina della storia di Spagna. Il nome di Saragozza suona nel popolo come un grido di libertà, e nell’esercito come un grido di guerra. Ma poichè non v’è rosa senza spine, questa nobile provincia è anche un semenzaio di demagoghi inquieti, di capi di guerrillas, di tribuni, di gente di testa calda e di mano ardita, che danno un gran da fare a tutti i Governi. Il Governo deve accarezzar l’Aragona come un figliuolo ombroso e focoso, che se niente niente si picca, è muso da mandare in aria la casa.
L’entrata di re Amedeo in Saragozza, e la breve dimora che vi fece nel 1871, diedero occasione a parecchi fatti, che meritano d’essere raccontati; non solo perchè si riferiscono al Principe, ma perchè sono una eloquente manifestazione del carattere del popolo. E prima d’ogni altra cosa il discorso del Sindaco, del quale s’è fatto tanto scalpore, in Spagna e fuori, e che resterà forse fra le tradizioni di Saragozza come un esempio classico di audacia repubblicana. Il Re arrivò verso sera alla stazione della strada ferrata, dove eran venuti ad aspettarlo, accompa-