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64 | saragozza. |
grosso bernoccolo tra occhio e occhio, voleva la repubblica federale, senza transazioni, quella sera stessa, prima d’andare a letto; e metteva come condizione sine qua non per la prosperità del nuovo governo, che si fucilasse il Serrano, il Sagasta e lo Zorilla, per convincerli una volta per sempre que no se chanzea con el pueblo español, che non si scherza col popolo spagnuolo. “Y su rey de Ustedes,” concludeva volgendosi verso di me, “al re che ci han mandato loro, — mi perdoni, caro il mio Italiano, la franchezza con cui le parlo, — al loro re un biglietto di prima classe per tornarsene á la hermosa Italia, ove c’è miglior aria per i Re. Somos españoles” — perdoni, caro il mio Italiano e mi metteva una mano sul ginocchio — “somos españoles, e non vogliamo stranieri, nè cotti, nè crudi!”
“Mi pare d’aver capito il suo concetto; e lei,” domandai al capomaestro, “come crede lei che si potrebbe salvar la Spagna?”
“No hay mas que un medio!” rispose con accento solenne; “non v’è che un mezzo! Repubblica federale, — in questo sono d’accordo col mio amico, — ma con Don Amedeo presidente!” — (L’amico scrollò le spalle) “Ripeto: con Don Amedeo presidente! È il sol uomo che possa tener ritta la repubblica; non è soltanto un’opinione mia; è l’opinione di molta gente. Don Amedeo faccia intendere a suo padre che qui colla monarchia non si compiccia nulla; chiami al governo il Castelar, il Figueras, il Pi y Margal; proclami la repubblica, si faccia elegger presidente,